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‘Tratto tutti i miei clienti come tratterei mia madre’. Lei mi ha sorriso e ha detto: ‘Oh, che carino!’. È entrata nel taxi e mi ha chiesto di passare per il centro. ‘Ma non è la via più corta, allunghiamo di parecchio’, l’ho avvertita. ‘A me va bene. Non vado di fretta’, mi ha risposto. ‘Sto andando in ospizio’, ha continuato. Sono rimasto un po’ sorpreso quando ho sentito quelle parole. ‘Un ospizio è un posto dove la gente va a morire’, mi sono detto. ‘Non lascio nessun familiare’, ha proseguito lei con dolcezza. A quel punto ho spento il tassametro. ‘Quale strada devo prendere?’, le ho chiesto. Abbiamo trascorso le due ore successive insieme, ho guidato per la città e lei mi ha mostrato l’albergo dove aveva lavorato come centralinista. Siamo passati per così tanti posti, mi ha fatto vedere la casa in cui lei e il suo ultimo marito avevano vissuto, quando erano ancora giovani, e la scuola di danza dove aveva studiato da ragazzina. In alcune strade mi ha chiesto di guidare molto lentamente ed era attaccata al finestrino come avrebbe fatto un bambino curioso. Siamo arrivati all’ospizio che era ormai sera, era più piccolo di quello che mi ero immaginato. Quando siamo arrivati all’ingresso, due infermiere ci sono venute incontro. Hanno messo la donna su una sedia a rotelle e preso la sua valigia: ‘Quanto ti devo per la corsa?’ mi ha chiesto aprendo la borsa. ‘Niente’, le ho risposto… PER CONTINUARE A LEGGERE, CLICCA SUL PUNTO 4 DELL’INDICE

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