Gli avvocati

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Purtroppo tutto nasce dal famoso interrogatorio del 21 novembre del 2011, quando cinque volte i pm le chiesero se il piccolo era ancora vivo quando lo misero nella busta di plastica e lei rispose sempre che «era già morto». Alla sesta volta disse che era vivo, ma è evidente che questa risposta è stata ottenuta attraverso suggestioni, visti per altro i problemi di salute mentale certificati da un perito”. Il legale dell’uomo, invece, ha puntato sul fatto che non esistevano legami di parentela tra l’uomo e il bambino per tentare di attenuare (invano) la pena.

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