A volte ci dimentichiamo che i bambini sono piccole anime molto fragili che capiscono tutto quello che diciamo. Gli adulti non sempre valutano la sensibilità del bambino con la dovuta profondità: esistono emozioni che un bambino non può sopportare perché creano in lui sconcerto, ansia e paura del futuro, quindi sono destabilizzanti.
La solitudine, il rifiuto, l’umiliazione, il tradimento e l’ingiustizia sono stati dell’animo o meglio emozioni che un bambino non può sopportare, rappresentano esperienze negative che se reiterate possono influire sull’autostima del piccolo riducendola o inibendola.

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L’amore, il rispetto, la cura dipendono anche dall’educazione: più un figlio sarà oggetto delle attenzioni del genitore meglio saprà esprimere i suoi sentimenti e selezionare i comportamenti affettivi da tenere, in casa e fuori. Ciò potrebbe incidere positivamente persino sulla selezione delle amicizie in età adolescenziale ed adulta.
Il consiglio rivolto ai genitori è solo uno: abbiate a cuore il benessere dei vostri figli emancipandovi dal concetto materiale di cura. Non basta sfamarli e vestirli per dirsi genitori partecipi alla vita dei bambini, ma è importante condividere con i figli esperienze, emozioni e momenti. Il vostro tempo è il regalo più prezioso che possiate fare ad un figlio.
La paura del rifiuto può essere una conseguenza della solitudine:
“ora non posso devo lavorare”, “adesso no, sto facendo un’altra cosa”, “non puoi venire con me, non è una faccenda adatta ai bambini”, “non posso parlare con te, sono al telefono”, eccetera.
La vita moderna, il lavoro, gli impegni (che spesso si traducono in forti responsabilità) sovente “isolano” ciascun individuo e ci intrappolano nelle cose da fare dandoci la sensazione di non avere mai abbastanza tempo.
Attenzione, però, alla percezione che i bambini hanno della nostra vita frenetica: i figli sono spesso troppo piccoli per rendersi conto del grande carico di responsabilità che grava sui genitori. Per i bambini i “No” reiterati possono rappresentare delle barriere, dei muri, dei rifiuti netti e mortificanti.
Coinvolgere i piccoli nella vita di tutti i giorni è un buon sistema per minimizzare il rifiuto, inteso come limite alla condivisione dell’esistenza, e, contemporaneamente, è un sistema per responsabilizzare il bambino rendendogli più semplice la comprensione delle cose dei grandi.
Mia figlia è la mia aiuto cuoco e la mia segretaria. In ufficio risponde al telefono o annota gli appuntamenti sull’agenda; in cucina, sempre sotto la mia supervisione, apparecchia la tavola, asciuga le posate e qualche stoviglia, nei limiti delle sue possibilità contribuisce alla preparazione della cena.
La mortificazione si concretizza in quella sensazione di errore così profonda da trasformare un difetto in cruccio o dolore. Il bambino mortificato non troverà soluzione al suo errore, non comprenderà perché ha errato né come migliorarsi, ma “giustificherà” il proprio comportamento in base ad un “non so fare” o “non capisco”, “non posso” o “non sono capace”.
Maggiore è l’umiliazione più grande è il senso di non appropriatezza che il bambino subisce ed il pericolo ultimo è che nel piccolo si ingeneri il dubbio di non poter mai fare meglio o bene: “non saprò mai farlo” o “non lo capirò mai”, “non potrò mai fare questo” o “non ne sarò mai capace”.
Le emozioni che un bambino non può sopportare corrispondo a quei dolori dai quali il piccolo non riesce a liberarsi.

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