Questa testimonianza, di un caso terribile, è stata scritta in prima persona da Valentina Ruggiu, una giornalista di Repubblica che ha voluto condividere la sua vicenda personale “perché nessun altro padre, marito o figlio, nessun altro amico o cugino, possa morire con una voce che ti dica “Rimanga in attesa”. La giornalista ha infatti perso il padre, dopo aver vissuto questa disavventura. Ecco il suo racconto… PER CONTINUARE A LEGGERE, CLICCA SUL PUNTO 2 DELL’INDICE[nextpage title=”Il racconto della giornalista”]
“RIMANGA in attesa”. Una cordiale voce di donna me lo ripete in italiano, inglese e spagnolo. Il telefono è tra orecchio e spalla, mentre con tutta la forza cerco di sollevare mio padre che è mezzo steso a terra, una gamba piegata sotto l’addome, l’altra tesa indietro. Respira, si lamenta e dal viso scendono a terra gocce di sangue. “Rimanga in attesa”. Dentro di me sono convinta di poterlo rialzare, ma il solo sforzo per impedirgli di scivolare ancora è enorme, soprattutto per me che sono uno scricciolo e lui un omone. Gli dico che gli voglio bene, che andrà tutto bene e che arriverà presto qualcuno ad aiutarci… PER CONTINUARE A LEGGERE, CLICCA SUL PUNTO 3 DELL’INDICE[nextpage title=”“Urlo contro la voce registrata””]
“Rimanga in attesa”. Sono passati più di due minuti ed è la seconda chiamata al 118. Attacco e riprovo a chiamare: “Rimanga in attesa “. La terza chiamata la faccio dal mio cellulare e parte alle 3:19. Nel frattempo arrivano mio fratello e la compagna. “Rimanga in attesa “. Lo sollevano, lo poggiano sul letto e vedo mio padre che si sta spegnendo. La chiamata è ancora aperta, sotto le grida di mia madre sento la voce registrata: “Rimanga in attesa”. Non so cosa fare, vorrei solo un’ambulanza, qualcuno che ci aiuti. Urlo contro la voce registrata… PER PROSEGUIRE LA LETTURA, CLICCA QUI SULL’ARTICOLO ORIGINARIO