Autismo, i segnali: come riconoscere un bambino autistico

Tutti avrete sentito parlare di autismo. Ma di cosa si tratta veramente? L’Autismo è una sindrome che si diagnostica questa patologia attraverso interventi mirati, volti ad uno screening di tutti gli aspetti psicologici e fisici che questa sindrome comporta.
I genitori, quando viene diagnosticata la sindrome, sono messi al corrente del fatto che il loro piccolo non riuscirà con facilità ad avere delle interazioni, utilizzerà un linguaggio e un movimento corporeo non uguale agli altri, dunque vivrà nel suo mondo a cui non è permesso ad alcuno di accedere.
Attualmente esistono delle tecniche che permettono di gestire clinicamente il disturbo riducendo le sue conseguenze funzionali, ovvero:
le logiche Intensive Behavioural Intervention (IBI): lavoro intensivo tra i 20 e le 40 ore a settimana in cui si approfondiscono i punti di forza dell’individuo autistico
la Applied Behavior Analysis (ABA): ovvero si cerca da un lato di interpretare e modificare il comportamento del soggetto, dall’altro di stimolare le loro competenze.
il metodo Treatment and Education of Autistic and related Communication Handicapped Chilren (TEACCH): un modello che incorpora servizi per gli insegnati, i genitori e i bambini autistici.
Medici, psicologi, psicoterapeuti, insegnanti, famiglie: ecco l’équipe vincente che potrebbe fornire un intervento combinato proficuo per la salvezza di questi soggetti e la gioia dei loro cari: è necessario far assumere la consapevolezza di ogni periodo che la famiglia stia attraversando senza mai annebbiare il barlume di speranza che un giorno si potrà sorridere o ahimè piangere, ma tutti insieme.

Esplicazione dell’immagine:

Segnali di Autismo

Disegno 1: Il soggetto affetto da autismo evita gli occhi dell’interlocutore (bambino o adulto che sia);

Disegno 2: Il soggetto affetto da autismo non possiede un linguaggio appropriato o usa poche parole che non sono conformi alla sua età;

Disegno 3: Il soggetto affetto da autismo ripete sillabe e parole;

Disegno 4: Il soggetto affetto da autismo sembra sordo, non obbedisce agli ordini semplici o non risponde al suo nome;

Disegno 5: Il soggetto affetto da autismo gioca da solo;

Disegno 6: Il soggetto affetto da autismo non usa appropriatamente i giochi (esempio fa roteare la palla su se stessa ma non ne fa un uso comune, come lanciarla, cosa che, invece, fanno istintivamente ed usualmente i bimbi);

Disegno 7: Il soggetto affetto da autismo non partecipa ai giochi dei coetanei;

Disegno 8: Il soggetto affetto da autismo fa un uso eccessivo di televisione e computer;

Disegno 9: Il soggetto affetto da autismo tiene un comportamento stereotipato (svolazza con la mano o ripete costantemente piccoli salti);

Disegno 10: Il soggetto affetto da autismo ha temi ricorrenti e ripetitivi (ad esempio sempre gli stessi cartoni animati, figurine o dinosauri);

Disegno 11: Il soggetto affetto da autismo allinea macchinine, animali o qualsiasi altro gioco;

Disegno 12: Il soggetto affetto da autismo si sofferma con eccessiva insistenza a guardare dispositivi rotanti (ad esempio lavatrice o ventilatore);

Disegno 13: Il soggetto affetto da autismo è ipersensibile o iposensibile al rumore;

Disegno 14: Il soggetto affetto da autismo manca del senso del pericolo;

Disegno 15: Il soggetto affetto da autismo nei capricci dimostra di tollerare male le frustrazioni .

Addio al reflusso esofageo: ecco i rimedi naturali

Tutti hanno sofferto almeno una volta nella vita di gastrite, un’infiammazione della mucosa dello stomaco. I suoi sintomi più comuni sono il dolore e bruciore di stomaco. Ci sono buoni trattamenti per la gastrite (il bruciore di stomaco è uno dei suoi sintomi) e tutti rigorosamente naturali. Il primo passo per sconfiggere la gastrite è quello di adottare una dieta speciale.
Non è raccomandato bere caffè, mangiare prodotti lattiero-caseari, spezie come il pepe, frutta acida come arance e ananas, cibi ricchi di fibre come il muesli, cibi fritti, cioccolato e dolci elaborati. Al loro posto verdure e cereali cotti, carni alla griglia leggermente condite e un sacco di frutta fresca. E’ necessario inoltre che il cibo sia mangiato lentamente, masticando bene.
Ma esistono anche dei rimedi naturali per il trattamento della gastrite, bruciore di stomaco e reflusso.
1. SUCCO DI PATATA
2. SUCCO DI CAVOLO

« TUTTO LEGALE » Il modo DEFINITIVO per non pagare il CANONE RAI

Su internet da qualche giorno sta girando un metodo particolare che vi permetterà di evitare per sempre il temuto Canone Rai. A quanto pare esiste davvero un metodo semplice e legale per non dover più pagare il canone.
Basta spedire alla Rai, tramite raccomandata con avviso di ricevuta, una dichiarazione scritta e firmata nella quale si richiede la disdetta del canone e l’effettuazione di una procedura chiamata sugellamento, ovvero il criptaggio dei canali Rai. Quest’ultima operazione dovrebbe essere compiuta da un tecnico, che dovrebbe recarsi a casa del richiedente e “oscurare” i canali dal televisore. Se però nessuno si presenta non ci sono problemi: è sufficiente dimostrare di aver spedito la lettera per ottenere il pieno diritto di non pagare più il canone.
Se dunque a seguito della raccomandata dovessero continuare ad arrivare richieste di pagamento, l’utente può legittimamente rifiutarsi di pagare, avendo la ragione dalla sua parte. Oltretutto, qualora un tecnico Rai dovesse bussare alla porta di casa per effettuare il sugellamento, non si è nemmeno tenuti a farlo entrare, a meno che il funzionario non abbia con sé un regolare mandato giudiziario.
Il modulo con la richiesta di disdetta del canone può essere tranquillamente scaricato nel link successivo, e la domanda può essere inviata in ogni periodo dell’anno. Qualsiasi successiva esortazione di pagamento da parte della Rai non ha alcuna legittimità, e può quindi essere ignorata, eventualmente rivolgendosi anche a un avvocato oppure a un’Associazione dei Consumatori, senza timore di vedere negate le proprie ragioni.

Muore mamma di 35 anni, era al settimo mese di gravidanza

Nel vicentino, qualche ora fa, una donna di 35 anni è morta insieme al bimbo che portava in grembo. Si tratta di Marta Lazzarin, blogger di viaggi e turismo residente nel Bassanese, al settimo mese della sua prima gravidanza.
La donna si è presentata al pronto soccorso con la febbre alta. Le analisi hanno subito confermato che il feto era morto. Ricevute le prime cure, sono iniziate le contrazioni. Durante il travaglio qualcosa, però, è andato storto. La 35enne si è spenta poche ore dopo il suo arrivo all’ospedale San Bassano.
Secondo una prima ricostruzione il decesso potrebbe essere stato causato da un’embolia polmonare, una complicazione dovuta alla morte del feto, avvenuta, probabilmente, due giorni prima.
Si tratta della seconda tragedia nel giro di pochi giorni al nosocomio bassanese: il giorno di Natale, il piccolo Kevin Brandalise era morto pochi minuti dopo il parto.
Ecco l’addio del compagno che tanto l’amavo:
“Scrivo questo post con le lacrime agli occhi, anche se lei mi vuole forte, scrivo questo post solo per dirvi che la mia metà e la metà di questo blog ieri è volata in cielo.
Marta il mio amore è mancata con il mio bimbo Leonardo che portava in grembo. Ciò che voglio non è certo rovinarvi le feste o strapparvi lacrime e neppure lei lo vorrebbe, scrivo solo per ricordarla con il suo sorriso, la sua gentilezza, la sua bontà. Ciò che la rendeva più felice era donare a chi aveva più bisogno e nessun regalo era per lei più bello di quello.
Allora amore,vedrai, sarai fiera di me, cercherò con tutte le mie forze di regalare sorrisi a chi più ne ha bisogno, proprio come facevi tu; vedrai, sarai orgogliosa di me.”

Questa bimba pensava di avere un tumore ma… Era incinta

Non tutte le bambine purtroppo riescono a vivere un’infanzia spensierata, bella fatta di giochi e fantasia. Questa bimba che vedete in foto si chiama Lina Medina, che sin da piccola ha avuito problemi con la sua pancia. I suoi genitori pensarono subito si trattasse di un tumore all’ombelico. Ma in ospedale i medici rivelarono subito che la bimba in realtà era incinta.

Per tutti i membri della famiglia fu uno shock terribile. Era il 14 maggio del 1939 a soli 5 anni e sette mesi Lina Medina partorì un piccolo maschietto.

Benessere Psicofisico Premendo 2 Punti dei Piedi

Le tecniche di massaggio, agopuntura e digitopressione sono antiche di millenni e ancora oggi possono aiutare in numerosi disagi che possono affliggerci, in alcuni casi si tratta di manipolazioni molto semplici che possiamo imparare anche noi non addetti ai lavori e possiamo applicarle quotidianamente, con notevoli benefici pressoché immediati.
Premete questi due punti per assicurarvi il benessere psicofisico
Uno dei punti utilizzati dalle tecniche di digitopressione è il Tai Chong (LV3). Questo punto si trova sul piede, tra l’alluce e il secondo dito, a circa due cm di distanza dal punto di unione tra le due dita, tra il primo e il secondo osso metatarsico, il punto LV3 si trova proprio nella zona morbida vicino all’osso, in una specie di conca.
Questo punto è correlato ad un meridiano energetico da cui si diparte energia per tutto il corpo, la stagnazione dell’energia qi in questa zona può dal luogo a:
– fastidiosi mal di testa,
– tensione muscolare in particolare al collo o alle spalle,
– stress generico,
– vertigini,
– occhi arrossati e visione offuscata,
– dolori mestruali, sindrome premestruale, tensione mammaria, cicli irregolari, crampi,
– problemi digestivi, nausea, costipazione, sindrome del colon irritabile, infiammazioni intestinali, afte alla bocca,
– problemi emotivi: rabbia, insonnia, irritabilità, ansia.
Trattare questi punti può aiutare in queste situazioni e anche a regolare la pressione sanguigna e l’attività del fegato.
Quando avete individuato il punto Thai Chong, dovete applicare pressioni di circa 2-3 secondi, intervallate da una pausa di 5 secondi, ripetete in sequenza per un tempo di circa 2 minuti. Accompagnate la pressione da un lieve movimento di massaggio in senso antiorario.

George e Charlotte d’Inghilterra: Come Saranno da Grandi

Vi siete mai chiesti come saranno i teneri figlioletti di Kate Middleton e William? Un professore inglese ha mostrato in FOTO i volti di George e Charlotte d’Inghilterra da grandi. Ecco come diventeranno i figli di Kate Middleton e William:
Secondo lo scienziato che ha ideato e studiato detto software le fotografie dal futuro che il computer consegna possono risultare estremamente attendibili.
Il software per l’invecchiamento delle immagini usato per anticipare l’aspetto giovane ed adulto di George e Charlotte di Inghilterra non è un programma qualunque, infatti non tutte le mamme ed i papà curiosi possono avervi accesso. Il padre del progetto e della messa in opera della procedura informatica è stato il professor Hassan Ugail, responsabile del “Center for Visual Computing” dell’università di Bradford, Inghilterra.
Il suo software è nato per monitorare i cambiamenti fisici di criminale e terroristi nel tempo, nonché per prevedere il mutato aspetto di persone scomparse da tempo, sopratutto bambini.
L’uso delle immagini di George e Charlotte d’Inghilterra ha dato popolarità al progetto perché le foto dei piccoli principi trasformati in adulti sono presto divenute virali.
L’invecchiamento operato dal software del “Center for Visual Computing” dell’università di Bradford va dalla tenera età sino ai 60 anni. George e Charlotte sono stati invecchiati così:
Dopo George e Charlotte da grandi, possiamo vedere anche che aspetto avranno Kate e William nella piena maturità, ecco le foto della Duchessa e del Duca di Cambridge invecchiati:

Appassionate di Sushi? Ecco 10 informazioni che potrebbero tornarti utili la prossima volta che ti troverai ad un ristorante giapponese!

Ci sono tantissime persone che vanno matte per il famoso piatto giapponese. Stiamo ovviamente parlando del sushi che affascina persone in tutto il mondo.

1. Le origini
Se vi chiedo “Da dove arriva il sushi?“, cosa mi rispondereste? Dal Giappone, naturalmente! E invece no! E qui cade il primo falso mito sulla pietanza. I cari amici giapponesi hanno importato la tecnica di abbinare il pesce al riso, tecnica utilissima per conservare le proprietà degli alimenti, dai vicini cinesi. Ma qui va spezzata una lancia in favore degli abitanti del Giappone: sono stati loro ad inventare intorno al 1800 la ricetta del ”nighiri”, ossia riso e salmone presentato nella caratteristica forma allungata.
2. La salsa di soia
Andare a mangiare in un qualsiasi ristorante giapponese pensando di mangiare il vero Sushi equivale ad andare in una qualsiasi pizzeria all’estero credendo di assaggiare la vera pizza! Un errore mostruoso! Per quanto le ricette possano ricalcare alla perfezione quelle originali della tradizione, gli ingredienti non potranno mai essere gli stessi. Prendiamo ad esempio la salsa di soia. Questa, secondo la ricetta antica, viene realizzata mischiando acqua, semi di soia e sale e viene lasciata riposare per alcuni mesi insieme a delle muffe che ne stimolano la fermentazione.
Naturalmente la salsa di soia che viene servita nei ristoranti giapponesi “di importazione” difficilmente ha nel menù proprio quel tipo di salsa.
Sarà più facile trovare la salsa realizzata con soia idrolizzata.

3. Non parliamo del wasabi: Un altro alimento da annoverare tra i prodotti che non corrispondono all’originale ricetta è il wasabi. Quello che ci viene servito generalmente è definito dai giapponesi doc western wasabi, ossia una versione rivisitata composta da radici di rafano e colorante verde.
Mentre il vero wasabi, chiamato “hon wasabi” è realizzato con una pianta, la Wasabia Japonica, talmente rara da essere anche estremamente costosa e quindi centellinata in cucina.

4. Il salmone: Chi è abituato a consumare i propri pasti orientali nei ristoranti giapponesi occidentali sarà anche solito ordinare salmone, convinto che questo sia il piatto più tipico e diffuso. In realtà in Giappone il salmone è molto difficile da trovare, proprio perché non è un pesce autoctono.
Solo i ristoranti di Tokyo a 5 stelle, e di conseguenza i loro clienti, possono permettersi di inserire nel menù il salmone, perché hanno la possibilità economica di sostenere le spese di importanze della merce, che arriva direttamente dalla Norvegia.

5. Il tonno: Se volete proprio sembrare dei veri esperti di Sushi allora non potrete non sapere che con il tonno vengono realizzati tre piatti diversi di sashimi, a seconda della parte di pesce utilizzata. Con la parte più magra e scura si cucina l’akami, generalmente molto economico. Con quella più grassa il chutoro, che è leggermente più costoso. Infine con la parte più grassa e chiara si prepara l’otoro, economicamente una salassata!

6. Lo zenzero: Un’altra chicca che spesso mette in crisi gli appassionati di Sushi è l’uso che va fatto dello zenzero sottaceto, il cosidetto gari.
Questo ingrediente non serve per insaporire le pietanze, bensì per risciacquare la bocca tra una portata di pesce e l’altra.

7. Il problema delle bacchette: Una delle qualità che distingue un esperto di Sushi da un dilettante è la destrezza con la quale afferra il cibo ricorrendo alle hashi, ossia le infernali bacchette di legno.
Non siete esperti abbastanza per potervi nutrire con l’utilizzo di questo supporto? Non preoccupatevi.
Il Sushi in Giappone si mangia con le mani… proprio come la pizza!
8. La zuppa di miso, questa sconosciuta: Non avete la più pallida idea di cosa sia la zuppa di miso? È una ricetta che viene considerata l’elisir di lunga vita nella tradizione giapponese. Preparata con semi di soia gialla è molto simile ad un purè.

9. Come ti cucino il polpo: Lo sapevate che se decidete di ordinare il polpo potreste rischiare di aspettare oltre 45 minuti prima di mangiarlo?
Eh già! 45 sono infatti i minuti che l’animaletto tentacolato dovrà essere massaggiato prima di venire cucinato.
Avete capito bene! Massaggiato.
Per fortuna che ad occuparsene sono di solito gli apprendisti o i cuochi più giovani, almeno lo chef potrà continuare a cucinare gli altri piatti.
10. Il problema dell’ordinazione: Adorare il cibo giapponese non significa masticare anche la lingua del paese. Quindi come si esce da una situazione imbarazzante in cui lo chef non parla una parola di italiano e voi non sapete che cosa ordinare?
Basta dire la parola magica: “omakase“.
E proprio come per “abracadabra” con la porta della caverna dei 40 ladroni, anche le porte dell’ordinazione vi saranno magicamente aperte.
Omakase infatti significa “mi fido di te“. Quindi pronunciando questa semplice parola lascerete allo chef carta bianca sul cibo da servirvi, levandovi dall’impiccio di dover spiegare a gesti cosa volete mangiare.

Milia: cos’è e come curarla

I suoi sintomi spesso vengono confusi con altri tipi di malattie. Stiamo parlando della Milia, caratterizzata dall’apparizione di strani pallini bianchi ruvidi al tatto. Non sono pericolose ma sono un fastidioso problema cosmetico. Vediamo da cosa sono causate e quali sono i rimedi più efficaci per eliminarle.
Le milia possono comparire a tutte le età ma sono molto diffuse tra i neonati, infatti è anche chiamata “acne infantile”, e si presenta su viso, intorno agli occhi e sulle guance. Le milia sono spesso dovute a una mancata esfoliazione della pelle oppure all’uso di creme che contengono steroidi, o alla prolungata esposizione ai raggi del sole.
Ci sono diversi tipi di milia:
1. Milia neonatale: Si può verificare nel 40% dei neonati e di solito dura poche settimane. Le milia nei neonati possono comparire su viso, testa e dorso.
2. Milia giovanile: Di solito si verifica a causa di disordini genetici.
3. Milia primaria in adulti e bambini: È causata dalla cheratina che resta intrappolata sotto la pelle e può presentarsi sulle palpebre, sulla fronte, o nell’area genitale. Di solito scompare in poche settimane ma può durare anche diversi mesi.
4. Milia in placche: È associata a disordini di tipo genetico o a disordini autoimmuni della pelle e può comparire su palpebre, orecchie, guance e mascella. Le cisti sono più grandi e si presentano soprattutto in donne di mezza età ma anche in adulti e ragazzi.
5. Milia multipla eruttiva: Si verifica con prurito in alcune zone del viso, sulle braccia e sul dorso. Le cisti compaiono dopo un po’ di tempo e vanno via dopo poche settimane o pochi mesi.
6. Milia traumatica: Questo tipo di milia compare a causa di piccole ferite della pelle, provocate da bruciature o eruzioni cutanee. Appaiono irritate e arrossate ai bordi e bianche al centro.
7. Milia associata all’uso di farmaci: L’utilizzo di creme a base di steroidi può provocare la comparsa di milia sulle zone trattate. Comunque, effetti collaterali di questo tipo, con altre pomate a uso topico, sono rari.
Come curare le milia: Di solito le milia infantili non vanno trattate in alcun modo perché vanno via da sole in poche settimane. Per gli adulti e gli adolescenti ci sono rimedi naturali creati apposta perché la milia tende a durare più a lungo.
È importante tenere il viso pulito e lavare la pelle dei neonati una volta al giorno mentre, i ragazzi e gli adulti, almeno due volte al giorno con acqua tiepida utilizzando un detergente delicato che non contenga profumo, coloranti o sostanze chimiche. Asciugare poi il viso con un asciugamano morbido. Gli adulti e i ragazzi, poi, devono utilizzare un trattamento esfoliante che sia solo idratante, e contenga vitamina A, se le milie sono diffuse e accompagnate da pelle secca mentre, se sono poche, si può scegliere un trattamento mirato a base di acido salicilico da applicare sulla zona una volta al giorno. Può essere utile anche applicare il retinolo che ha proprietà esfolianti da applicare una volta ogni due giorni prima di andare a dormire. Da non applicare sulle palpebre perché potrebbe causare irritazioni. Inoltre, soprattutto in caso di milie secondarie, è bene proteggersi dal sole e esporsi il meno possibile utilizzando sempre un cappello e una protezione viso dalla texture leggera per non ostruire i pori. Da evitare anche il trucco eccessivo e le creme pesanti che non lasciano respirare la pelle.

Attacchi di panico: una lettera struggente di una persona che ne ha sofferto per 12 anni

Chi non ha mai avuto un attacco di panico non sa di cosa si tratta nello specifico. Leggendo questa struggente lettera potrete rendervi conto della sua gravità:
“La paura della paura, le ossessioni perché se la porta si chiude resto intrappolato, il terrore di uscire a cena, la paura di un concerto, i percorsi alternativi che studi per non prendere la metropolitana per andare al lavoro, cercare le uscite di sicurezza…”
La nostra sezione Benessere si è spesso occupata di attacchi di panico trattandosi di una disturbo massivamente diffuso nella società contemporanea che interessa molti lettori. Riceviamo spesso commenti e richieste di informazioni più approfondite sull’argomento. La vigilia di Natale, però, ho ricevuto una mail di una nostra lettrice che racconta in maniera davvero struggente cosa significhi convivere con questo tipo di disturbo, quello che può arrivare a “prendersi” e l’inferno che ne deriva. La parte più importante del suo scritto, però, è nel finale in cui viene dimostrato come sia possibile uscire da questo tunnel superando i retaggi legati a vergogna e alle cure farmacologiche che spesso, a causa di pressapochismo informativo e profonda ignoranza, vengono stupidamente demonizzate. Abbiamo quindi deciso di pubblicare questa testimonianza, su richiesta di chi l’ha scritta e rigorosamente in forma anonima, per dimostrare che il dolore privato spesso è un dolore comune a molti dal cui giogo è possibile liberarsi.
“Ho letto i vostri articoli sugli attacchi di panico (in particolare questo:Attacchi di panico come aiutare, 5 cose che dovete ricordarvi di dire a chi amate e che ne soffre) e ho provato un senso di sollievo. Sono una donna separata di 42 anni che soffre di questo male da 12 anni. Il senso di legittimazione che mi ha dato leggere tutti quei commenti di persone sconosciute che parlavano precisamente di quello che io provo ogni giorno, chiusa nella vergogna e nella solitudine di comunicarlo, mi ha fatto riflettere. Io non ho mai accettato di soffrire di una cosa tanto difficile da spiegare, in parte mi aspettavo che dicendolo a qualcuno non avrebbe capito. Per una volta nella vita, anche se in forma anonima, vorrei invece liberarmi e condividere con il mondo intero, protetta dall’anonimato, quello che una persona che soffre di attacchi di panico prova. Magari qualcuno troverà conforto nel riconoscersi, si sentirà meno solo e più “normale”. Altri, forse, che hanno persone che amano a fianco che ne soffrono potranno sforzarsi di capire quello che a loro pare indecifrabile.
La prima cosa che odio del panico è che è invisibile: un occhio pesto, un’allergia, persino un singhiozzo li puoi vedere ma il panico ti si agita dentro e ti fa scoppiare le bombe nel corpo senza dare alcun segnale esterno. Questo ti fa pensare che sei pazzo, perché è tutto nella tua testa, perché fuori non c’è niente, perché gli altri sono tranquilli. Questo fa anche credere agli stupidi, agli ignoranti, agli insensibili che tu finga. Come se ti piacesse il ruolo della malata.
Il panico ti lega a lui, ti sposa, ti entra sottopelle e non sparisce all’esaurirsi di un attacco. Nel frattempo resta l’ansia, iniziano i meccanismi perversi: la paura della paura, le ossessioni perché se la porta si chiude resto intrappolato, il terrore di uscire a cena, la paura di un concerto, i percorsi alternativi che studi per non prendere la metropolitana per andare al lavoro. La macchina che di colpo hai paura di guidare e il senso di umiliazione profonda che deriva dalla coscienza di essere diventato dipendente dagli altri. Da solo è impensabile, fa troppa paura. Se succede mentre guido? Se sbando e vado fuoristrada? Se succede in autostrada? I posti a teatro sempre vicini all’uscita di sicurezza, le scuse che ci si inventa per evitare un aperitivo, il terrore dei luoghi affollati e che manchi l’aria, la paura che venga un infarto mentre cammino. E’ come se si potesse avere una sorta di visione della morte senza morire davvero. L’ansia ti cambia, ti umilia, ti mette all’angolo, si mangia la tua personalità, si divora la tua vita. Tu non decidi più nulla, semplicemente vivi in punta di piedi per non svegliarla. E’ l’esperienza assoluta: nascere e morire insieme.
E poi la nascondi, te ne vergogni. Diventi bravissimo a mentire, a inventare le scuse migliori e più credibili per abbandonare una cena, una riunione, una festa. Non ti muovi senza un piano di emergenza per la fuga. Ho sbagliato, mi sono nascosta e mi sono vergognata a lungo. Mi sono colpevolizzata perché nonostante gli sforzi non passava, mi impegnavo ma non passava. L’anno scorso un’amica carissima, che ha capito senza che io le dicessi nulla, mi ha letteralmente trascinata da uno psichiatra. Già dalla prima seduta ho capito quanto tempo avessi perso: lui traduceva i miei sintomi e miei disagi come fossero la cosa più normale e più diffusa del mondo. Mi ha anche detto sorridendo che si tratta di una delle patologie più diffuse in assoluto e che quindi di cure ce ne sono davvero parecchie. Lo psichiatra mi ha detto che prima si cura l’urgenza, ovvero si fa rientrare l’attacco farmacologicamente e poi, quando sono serena, si lavora anche a livello terapico. Così abbiamo fatto. Mese dopo mese ho iniziato a smettere di soffrire, gli attacchi sono spariti anche se l’ansia generalizzata è rimasta. In 12 anni non avevo mai avuto una tregua di 10 mesi, ora facciamo anche terapia. Ho paura a dirlo, perché mi sembra troppo bello per poterci credere davvero, ma inizio a credere, per come stanno andando le cose, che curarsi e uscirne sia possibile. L’unica cosa che non è possibile è dimenticarli: non si torna mai più gli stessi dopo averne sofferto.
Grazie se pubblicherete questa lettera che spero di cuore possa servire ai tanti che conoscono questo dramma.”