Cuscino bianco

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di firma copie e io ero, metaforicamente parlando, un’accoltellata che non poteva bendare la ferita. E’ in quel momento che osservo la seduta del mio simpatico interlocutore. E’ una comoda poltroncina. Bassa, elegante, semplice. Con un cuscino BIANCO. Un bianco di quelli cangianti, puri, luminosi, indiscutibili. Non un crema, un bianco sporco, un panna, NO. Un cazzo di bianco che di più bianco c’è solo la papalina di Francesco immersa nella candeggina a mani nude da una vergine. Penso che non ho fatto caso al colore del mio cuscino e che figuriamoci se è bianco, che è ‘sta scelta banale, sarà verde, nero, con una fantasia maculata, anzi, magari è rosso, certo, è sicuramente ROSSO FUOCO per valorizzare l’ospite e io me la sfangherò dal lasciare tracce per mimesi. Abbasso lo sguardo certa che il destino sia benigno. E’ BIANCO. Da quel momento in poi il mio destino è segnato. Pure quello del cuscino. Lo so, lo sento. Il pantalone nero mi salverà, ma il cuscino non ha scampo. Penso che dormirò lì seduta. Chiamo Lorenzo, che è lì sullo sfondo a chiacchierare, gli faccio cenno di raggiungermi.

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Da seduta. Lui arriva basito. Non capisce perché non alzi il culo io e chieda di venir lì con un cenno come fossi il Dalai Lama. Gli spiego all’orecchio la situazione. Ride. Mi dice “Tu alzati e scendi veloce dal palco dicendo qualcosa che attiri l’attenzione su di te, che io giro il cuscino!”. Lorenzo fa quello che deve fare. Fatto sta, amici di Brescia, che con questo messaggio volevo farvi sapere che quello che è accaduto è il sintomo benigno della mia passione per questo lavoro: io, sul palco, do il sangue”.

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