Legato, nudo, affamato, assetato. Le immagini di sorveglianza hanno ripreso così, in queste condizioni, Francesco Mastrogiovanni, in un reparto psichiatrico di diagnosi e cura dell’ospedale San Luca di Vallo della Lucania, a Salerno. E quelle condizioni hanno portato alla sua morte. Martedì 15 novembre ci sarà la sentenza d’appello a carico dei 6 medici coinvolti, visto che nella sentenza di primo grado erano stati tutti condannati per sequestro di persona e falso in atto pubblico, con assoluzione di tutti gli infermieri: “Non voglio credere che li assolvano tutti. No, di fronte alla terribile evidenza di quelle immagini non si può non condannarli”, ha commentato Grazia Serra, la nipote di Francesco Mastrogiovanni.
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Ecco il racconto della ragazza: “Sì, purtroppo è vero. In quei giorni dell’estate 2009 ho avuto un colloquio con un medico, ero col mio fidanzato. Gli chiesi perché mio zio, che aveva insegnato a scuola fino a pochi giorni prima, era stato ricoverato per un Tso. Ebbi risposte vaghe e poco chiare. Ci dissero che non potevamo vederlo perché c’era il rischio concreto di agitarlo, meglio star lontano dai parenti. Poi ho rivisto le immagini della contenzione. Ho visto come era ridotto mio zio proprio nel momento in cui io parlavo con quel medico e sono rimasta scioccata: era con un pannolone in un letto senza coprimaterasso, con piedi e mani legati. Un animale viene trattato meglio. Quel medico, nei suoi turni di lavoro nei giorni del ricovero, non si è mai avvicinato al letto di mio zio”.
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[nextpage title=”Assoluzione”]
Sulla possibile assoluzione: “No, non ci voglio credere… Quelle immagini sono chiarissime e guardandole non si può non condannarli. Mi aspetto che venga riconosciuto colpevole chi lo merita. Sicuramente mio zio ha subìto una tortura e auspichiamo l’introduzione nell’ordinamento italiano di questo reato comprensivo dei trattamenti inumani e degradanti, dando così piena attuazione alla convenzione di New York del 1984. Francesco Mastrogiovanni è rimasto legato a quel letto per più di 87 ore, perché lo hanno tenuto così per un po’ anche da morto. Non lo hanno alimentato. Il personale del reparto lasciava il vassoio col cibo lì accanto al letto, ma lui essendo legato non poteva muoversi. Dopo qualche ora, gli toglievano quel vassoio anziché aiutarlo a mangiare”.
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[nextpage title=”Casi analoghi”]
Inevitabile accostare questa evidenza a quelle di Cucchi, Uva, Budroni, Aldrovandi: “Sono vicende diverse ma sì, in un certo senso sì perché quando è morto anche Francesco Mastrogiovanni era nelle mani dello Stato, in questo caso tra le mura di istituzioni mediche pubbliche. La mia battaglia sui social network serve per mantenere alta l’attenzione sul caso in attesa della sentenza d’appello del prossimo 15 novembre. E poi, soprattutto, per fare in modo che quello che è successo a lui non accada a nessun altro”.