Abbiamo già parlato del suicidio in carcere di Marco Prato, uno dei due assassini di Luca Varani. E anche del suo testamento, che aveva lasciato intendere la personalità disturbata dal ragazzo:
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[nextpage title=”Testamento”]
“Mettetemi la cravatta rossa, donate i miei organi, lasciatemi lo smalto rosso alle mani. Mi sono sempre divertito di più ad essere una donna. Organizzate sempre, una volta alla settimana o al mese, una cena o un pranzo con tutti i miei cari amici e amiche che ho amato tanto. Fate sempre festa. Buttate il mio telefono e distruggetelo insieme ai due computer, nascondendo i miei lati brutti. Non indagate sui miei risvolti torbidi, non sono belli”. La novità adesso sono le parole che Marco avrebbe detto al padre, le ultime prima della sua morte:
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[nextpage title=”Al padre”]
“Mi hanno dipinto come un mostro, ma io non mi sento un mostro, io sono innocente. L’unica colpa che ho è quella di non avere avuto il coraggio di fermare quello che stava avvenendo in quella stanza. Senti papà, se tu vuoi che io viva serenamente il carcere ho bisogno della mia terapeuta: non c’è niente da fare, sennò non ce la faccio. Ho fondato la mia esistenza negli ultimi anni su quel rapporto di fiducia e se questa fiducia non mi viene confermata in qualche modo io crollo e non ho più le risorse e le capacità per affrontare il processo come si deve”.